Samurai e zucchero, storia della canna da zucchero giapponese

Se ripenso a come è cominciato il viaggio di questo sito non posso che ricordare che i primi articoli di Rummiamo erano dedicati alla storia, ancor prima di quella del rum, della canna da zucchero. Come saprete l’altra grande mia passione è il Giappone, quindi ho deciso di andare a scoprire cosa succedeva a oriente dopo avervi raccontato la parte occidentale della storia. Se ricordate (in caso dobbiate rinfrescarvi la memoria leggete qui) la canna da zucchero nasce, dal punto di vista paleobotanico, in Papua Nuova Guinea.

Nei precedenti articoli ci siamo soffermati sul viaggio verso occidente della canna da zucchero, oggi ci concentriamo su quanto è successo in oriente. Le prime zone geografiche in cui troviamo tracce scritte di coltivazione strutturata di canna da zucchero sono Cina e Corea, anche nome tecnico della canna da zucchero tradisce le sue origini (saccharum sinensis). Questi due paesi sono stati i precursori mondiali rispetto sia alle tecniche di coltivazione sia alle modalità di utilizzo del succo per la produzione di zucchero. Attorno al 700 DC, nel momento in cui i saraceni cominciavano a impiantare la canna da zucchero nel bacino del mediterraneo (qui l’articolo completo), in Cina i metodi produttivi dello zucchero erano stati ampiamente sviluppati considerando le possibilità tecnologiche dell’epoca. Tracce di importazione delle piante di canna da zucchero in Giappone si trovano già a partire da circa l’800 DC ma Corea e Cina tentarono di importare direttamente il prodotto finito verso il Giappone fin quando possibile, in quanto molto più redditizio rispetto alle piante.

Avete mai sentito parlare del regno delle Ryûkyû? (in giapponese, 琉球諸島 Ryuukyuu shotou o 琉球列島 Ryuukyuu rettou). Beh, si tratta di un gruppo di isole che si estendono dalla punta meridionale di Kyushu fino alla moderna Taiwan. Fino al 1400 circa queste isole erano indipendenti per poi essere unificate sotto, appunto, lo stendardo del regno di Ryûkyû. Per la vicinanza con Corea e Cina le Ryûkyû  sono state sempre un porto privilegiato per le merci provenienti dall’asia continentale, e in particolare lo zucchero per secoli è stato importato come prodotto finito alle Ryûkyû per poi essere commerciato nell’attuale Giappone. Non c’è da stupirsi quindi se, nel 1374, proprio in queste isole cominciano ad arrivare non più solo i carichi di zucchero ma le piante di saccharum sinensis. Il clima di queste isole, che corrispondono all’attuale prefettura di Okinawa e all’arcipelago di Amami, è perfetto per la canna da zucchero. Ecco come comincia la storia della canna da zucchero giapponese.

Nel 1609 le isole Amami diventano oggetto delle mire espansionistiche del clan Satsuma, una delle più antiche e potenti famiglie samurai della storia giapponese. Tutto l’arcipelago Amami viene invaso e diventa parte di quella che è oggi la prefettura di Kagoshima, mentre le isole più meridionali rimarranno sotto il regno delle Ryûkyû e tuttora fanno parte della prefettura di Okinawa. Da qui in poi le isole Amami e le Ryûkyû diventano terre votate sempre più alla coltivazione di canna da zucchero, pur mantenendo però altre tipologie di attività agriculturali e di allevamento per la sussistenza della popolazione (tra cui il riso). Una data fondamentale è il 1641, arriva il Sakoku (editto del paese incatenato, 鎖国 ) con cui lo shogun Tokugawa Iemitsu proclama la totale chiusura del paese agli occidentali, in quanto la sempre maggiore presenza di mercanti e predicatori stranieri (soprattutto portoghesi e olandesi) stava minando le basi stesse della rigida società nipponica. Comincia quel periodo storico chiamato periodo “Edo”.

Viene avviata una politica isolazionista che però, per quanto riguarda la coltivazione della canna da zucchero, e non solo, porta alla ricerca di nove tecnologie e promuove un avanzamento tecnologico con l’obiettivo di rendere il Giappone meno dipendente dalle importazioni estere. Lo zucchero si trasforma in uno strumento per limitare la fuoriuscita di monete di rame e argento dal paese, con le isole Amami e le Ryûkyû che diventano progressivamente sempre più votate alla coltivazione di canna da zucchero. In questo c’è una grande somiglianza con quanto stava avvenendo nei caraibi nello stesso momento storico, anche se qui non erano impiegati schiavi.

Lo shogunato cominciò a interessarsi seriamente alla questione dello zucchero, con lo shogun Tokugawa Yoshimune che arrivò a piantare alcune canne da zucchero nel giardino della propria villa privata. Il clan Satsuma diventa il fornitore di zucchero principale dello shogunato, che però promuove la sua diffusione in tutta la parte meridionale del paese, e il clan Tosa diventerà un rivale economico temibile. Piantagioni vengono avviate anche a Wakayama, Honshu e nello Shikoku. Soprattutto nello Shikoku la questione climatica porta alla crescita di piante più piccole, che gli abitanti dell’isola chiameranno con affetto chikusha (竹蔗) o addirittura hosokiki, vezzeggiativo riferito a bambini particolarmente magrolini. Lo zucchero di Shikoku è tra i più rinomati per la realizzazione di Wagashi (和菓) e viene tutt’ora utilizzato per la produzione del rum Ryoma (Ryoma che riporta alla memoria Sakamoto Ryoma, uno dei protagonisti del periodo Bakumatsu di cui parlerò dopo).

Nonostante non si usasse ufficialmente la pratica della schiavitù i contadini del periodo Edo non avevano particolari diritti nella società. A titolo di esempio, attorno al 1750 le richieste di produzione di zucchero divennero talmente elevante che venne imposto agli abitanti di Okinawa e Amami di distruggere le coltivazioni di riso e orzo (Okinawa era ricchissima di coltivazioni di cereali) per far spazio alla canna da zucchero. Questo rese le fasce più deboli della popolazione esposte ai rischi derivanti da crisi e carestie, con migliaia di morti per fame. Questa pratica venne abolita nel 1787.

Lo zucchero divenne molto importante anche riguardo ad un periodo storico ricco di contrasti e ribellioni (esattamente come per la rivoluzione americana). Sto parlando della fine del periodo Edo e l’inizio della restaurazione Meiji.  L’arrivo delle navi nere dell’ammiraglio Perry (1853) che riaprì con la forza delle sue cannoniere il Giappone al mondo esterno diede il via agli ultimi giorni dello shogunato Tokugawa, dopo oltre due secoli di relativa pace. Il bakumatsu (幕末 fine del bakufu) rappresenta quel periodo storico in cui le forze pro shogunato si scontrano con i lealisti che vogliono ridare il potere reale nelle mani dell’imperatore. Avrete quasi sicuramente visto il film “L’ultimo samurai”, ecco nonostante sia ampiamente romanzato ci fu effettivamente una grande rivolta del clan Satsuma, capitanata dal generale Takamori Saigo, e terminata con una leggendaria carica di centinaia di samurai a cavallo contro le mitragliatrici, americane, del neonato esercito imperiale giapponese durante la battaglia di Shiroyama.  La ribellione fu alimentata con tonnellate di zucchero, e finì con il seppuku di Takamori Saigo a poca distanza dal campo di battaglia.

Con la restaurazione Meiji cominciò un periodo di apertura controllata del Giappone al mondo esterno. Nonostante durante il bakumatsu fosse stata promossa dall’imperatore la via del sonnō jōi (尊皇攘夷, “riverire il tennō, espellere i barbari”) finita la guerra Boshin venne promossa un’apertura controllata del paese con l’obiettivo di primario di promuovere una modernizzazione del paese. I rapporti con gli Stati Uniti divennero più tesi e i principali partner commerciali del Giappone divennero Francia e Regno Unito (che di canna da zucchero qualcosina hanno da raccontare). Non si è mai smesso di coltivare canna da zucchero nel sud del Giappone, ancora oggi si consumano tavolette di zucchero come fossero caramelle (e di fatto si tratta di zuccheri talmente aromatici che sembrano caramelle al miele), e si è cominciato a produrre rum in varie parti del paese. Qui parlo brevemente della distilleria Helios di Okinawa, qui di Nine Leaves e tra poco uscirò con altri articoli che tratteranno il tema dello shochu di Amami e di quanti, tanti, troppi Shochu vengono chiamati whisky in nome di chissà quale superiorità, presunta, del secondo rispetto al primo. A presto!

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