Il bello del mondo del Rum è sicuramente da ricercare nella sua estrema varietà. I luoghi che associamo alla coltivazione della canna da zucchero e alla distillazione di Rum sono un po’ sempre gli stessi, i Caraibi, il centro America, Cuba. Se siete incuriositi e volete partire per un viaggio alla scoperta del Sud Africa continuate a leggere. Ma come sempre, qui su Rummiamo, si comincia dalla Storia. Il Sud Africa è la parte più meridionale del continente africano e separa virtualmente l’oceano atlantico dall’oceano indiano. Sebbene sia stato abitato sin dalla preistoria e popolato di numerosi gruppi Bantu (Zulu e Xhosa) la storia moderna, per così dire, di questa nazione comincia nel 1487, quando l’esploratore portoghese Bartolomeo Diaz circumnaviga il capo di Buona Speranza e di fatto apre la rotta africana per le indie orientali. I portoghesi non hanno particolare interesse ad impiantare colonie sulle coste sudafricane e, come spesso accaduto nella storia coloniale, i primi ad approdare e a fondare un avamposto sono gli Olandesi. La compagnia olandese delle indie orientali sbarcò e fondò la prima colonia presso il capo di Buona Speranza nel 1652, lo stesso periodo in cui i francesi prendono possesso di Grenada nei Caraibi (qui l’articolo completo). L’espansione coloniale si fa sempre più intensa fino al momento in cui, slegati i legami con la compagnia delle indie orientali, questi insediamenti danno vita ad un nuova comunità autonoma semi indipendente dalla madre patria: nascono i primi insediamenti Boeri. Si tratta della nascita di una vera e propria entità nazionale a se stante, con una propria lingua (l’Afrikaans) e una propria cultura, nate dalla fusione di influenze francesi, olandesi e scandinave.
La nuova nazione boera vive circa due secoli di crescita economica e sociale. La convivenza con le popolazioni originarie di quei territori non sembra essere stata particolarmente difficile anche se dai documenti emerge come Zulu e Xhosa abbiano preferito spostarsi verso l’entroterra piuttosto che convivere a stretto giro con i coloni europei. E’ solo verso la fine del XVIII secolo (1780 circa) che incominciano a nascere conflitti fra alcune tribù di nativi e i boeri stessi. Nell’intento di affermarsi come potenza coloniale assoluta l’Inghilterra mette nel mirino anche il Sud Africa (la stessa cosa che avviene nei Caraibi con molte colonie olandesi che passano sotto il controllo britannico) e dal 1795 al 1806, con una serie di spedizioni militari, riesce nell’impresa di conquistare il capo di Buona Speranza. Progressivamente, dal 1850 circa, i boeri sono costretti ad emigrare verso nord a causa di politiche discriminatorie da parte inglese e nella parte settentrionale del Sud Africa vengono fondate nuove repubbliche che saranno l’embrione dell’odierna suddivisione in province del paese come lo conosciamo oggi.
La coltivazione della canna da zucchero in Sud Africa comincia proprio nel 1850, con le prime 15000 piante trasportate dalla nave Jane Morris. Le potenzialità di questa terra vergine sono chiare ai coloni inglesi e nel giro di pochi anni arrivano in Sud Africa molti lavoratori e tecnici dall’Europa per la coltivazione della canna da zucchero e la sua raffinazione, con la conseguente produzione di enormi quantità di melassa che veniva in parte utilizzata come fertilizzante e in parte distillata. Vista la tardiva, se paragonata alla storia dei Caraibi, nascita dell’industria dello zucchero in Sud Africa appare chiaro come non sia stata perpetrata la stessa pratica della schiavitù che abbiamo visto nei Caraibi. Si crea però un circuito di reperimento della manodopera che vediamo ancora oggi in molti paesi. Dall’India, colonia britannica, cominciano ad emigrare numerose persone in cerca di una vita migliore. Nel loro paese infatti la suddivisione sociale in caste, già all’epoca, ha creato squilibri sociali e una povertà diffusa. A questi lavoratori viene garantito vitto, alloggio e uno stipendio base. Le condizioni di vita reali erano sicuramente migliori di quelle degli schiavi africani deportati nelle Americhe ma da numerose fonti storiche emerge come la loro condizione non fosse poi così differente, soprattutto man mano che la gestione delle piantagioni si accentrava sempre più nelle mani di pochi ed influenti latifondisti.
La scoperta di ricchi giacimenti di metalli preziosi, proprio nelle repubbliche boere, porta allo scoppio delle guerre anglo boere (1880-1881 e 1899-1902). Se fino a quel tempo le popolazioni indigene erano state più o meno risparmiate dai conflitti su vasta scala si assiste in questo periodo allo schieramento contrapposto delle diverse tribù Bantu che appoggiano rispettivamente uno dei due contendenti. Gli inglesi, appoggiati dagli Xhosa, usciranno vincitori dal conflitto e il Sud Africa entra ufficialmente nel Commonwealth. La storia più recente di questa nazione è macchiata da decenni di Apartheid, uno stato di segregazione razziale in cui le popolazioni di colore sono oggetto di discriminazioni di ogni tipo. Queste discriminazioni sono cominciate subito dopo la fine delle guerre anglo boere ma, ironia vuole, che l’esplosione della segregazione razziale avvenga attorno agli anni 30 del novecento con la graduale ripresa del potere da parte delle classi dirigenti boere, gli stessi boeri che erano emigrati a nord per sfuggire alle persecuzioni inglesi. L’espulsione del Sud Africa dal Commonwealth del 1961 segna la nascita definitiva della Repubblica del Sud Africa, con un progressivo smantellamento dell’Apartheid ad opera di grandi uomini come Nelson Mandela, processo che terminerà solo nel 1994 con l’elezione presidenziale dello stesso Mandela. Nonostante l’economia del Sud Africa sia prevalentemente industriale e mineraria esso si pone sui mercati internazionali come un grande produttore mondiale di zucchero. Si tratta di un mercato in mano a pochissimi gruppi e sono davvero una manciata i produttori che possono godere di un proprio spazio dedicato alla coltivazione di canna da zucchero, anche se a livello legislativo si sta assistendo ad un inversione di rotta, con un clima favorevole alla proliferazione di circuiti economici più a misura d’uomo. Una di queste aziende, è in grado di coltivare canna da zucchero fuori da schemi industriali, è Mhoba!
Mhoba è una distilleria artigianale di proprietà della famiglia Greaves fin dagli anni ottanta. Si trova sulle colline della provincia di Mpumalanga ed è circondata dalle proprie piantagioni di canna da zucchero. Mhoba infatti è in grado di coltivare, raccogliere e distillare canna da zucchero solo dalla propria piantagione, non vi è alcun approvvigionamento esterno di materia prima. Più chilometro zero di così! La raccolta avviene a mano e anche gli strumenti utilizzati nelle diverse fasi produttive sono stati ideati all’interno dell’azienda. Sia il mulino che l’alambicco sono stati infatti progettati da Robert Greaves, l’attuale presidente di Mhoba Rum. La varietà di canna da zucchero utilizzata per i rum Mhoba è la Nkomazi. In questa piantagione non viene prodotto zucchero, il che ci fa capire che Mhoba è un rum da puro succo di canna. Il succo proveniente dalla spremitura delle canne viene messo in vasche di fermentazione per un tempo variabile a seconda del risultato che si vuole ottenere in quella distillazione e vengono utilizzati sia lieviti selezionati che indigeni. Si formano in questa fase numerose reazioni chimiche e interazioni fra vari agenti che portano alla creazione di composti molto aromatici. La distillazione avviene in un particolare alambicco (in foto dal sito Velier) ideato all’interno della distilleria stessa. Studiato per ottenere un elevato reflusso durante il processo di distillazione esso permette prodotti finali molto ricchi in sostanze aromatiche. Senza entrare troppo nel tecnico, si tratta di una serie di accorgimenti (dalla fermentazione alla distillazione) che ci permette di ottenere, in fase finale, numerose particelle volatili (esteri) che danno profondità e complessità al profilo aromatico, più ce ne sono e più il rum presenterà complessità (non è così semplice ma intanto ci si può fare un’idea).
Per capire le potenzialità di questa distilleria ho deciso di parlarvi di una delle ultime release di Habitation Velier. Se non sapete cosa sia la serie Habitation vi consiglio di cliccare qui e dare un’occhiata. Ecco come Luca Gargano descrive questa linea di prodotti: “Habitation Velier raccoglie solo delle edizioni uniche, a pieno grado, di rum sia bianchi che invecchiati, rigorosamente provenienti solo da pot still. Su ogni etichetta sono presenti: una raffigurazione dell’alambicco di provenienza; la data di distillazione; per la prima volta, il contenuto in esteri dei singoli imbottigliamenti; l’evidenziazione del tropical aging e la dicitura vagamente ironica ‘sugar free’ per indicare che non hanno zuccheri aggiunti. È un’etichetta rivoluzionaria, che porta al consumatore appassionato i concetti chiave miei e di Richard Seale.” (Luca Gargano, Nomade tra i barili – Edizioni Velier, 2019). Per questa release è stato scelto un tempo di fermentazione di 8 giorni con lieviti selezionati e indigeni, quindi parzialmente spontanea. Il tutto è stato distillato nell’alambicco ad alto reflusso di Mhoba e messo in botti ex bourbon per quattro anni con un angel share dichiarato superiore al 12%, alcune fonti parlano di un 20%. L’angel share è la quota di distillato che ogni anno si perde (a botte chiusa in invecchiamento) per le interazioni fra la botte e l’ambiente esterno, più il clima è caldo e umido (i fattori sono tantissimi ma per capirci semplifico, per esempio conta anche come sono disposti i barili nel magazzino) e più questo valore sarà alto. Economicamente parlando, e anche a livello gustativo, questo è un valore importante poichè ci indica quanto prodotto viene perso annualmente solo per mantenere in invecchiamento il distillato e ci può dare un’idea del livello di interazione con la botte. Il rum viene imbottigliato senza diluizioni, come tutte le Habitation Velier, al volume di botte di 64,6% in alcool. Ha un livello di congeners (le sostanze che danno il profilo gustativo e aromatico al rum) di 571 gr/HLAP di cui esteri 271 gr/HLAP.
👃 Note di canna da zucchero, fresco e quasi balsamico. L’alcool non è invadente. Lasciato nel bicchiere mi ricorda il miele di acacia.
👅 Parte morbido, e quasi ti chiedi dove sia finita la gradazione. Poi sbam! Comincia a venire fuori il legno nonostante il breve invecchiamento, avvolge completamente il palato e vira sullo speziato anzi piccante. Molto aromatico. Una leggera nota di vaniglia sta sullo sfondo e mette in risalto tutto il resto.
♨️ Finale lungo ma delicato, un po’ tostato e minerale, leggermente affumicato. I suoi aromi rimangono lì con un che di salino che mi fa venire l’acquolina.
Se riuscite a trovarlo in qualche enoteca ci farei un pensierino, si tratta di un gusto che è sicuramente inusuale. Da provare!
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